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Libro bianco sull'esposizione ai nanomateriali

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LIBRO BIANCO ESPOSIZIONE A NANOMATERIALI INGEGNERIZZATI  ED EFFETTI SULLA SALUTE  E SICUREZZA NEI LUOGHI  DI LAVORO

PREFAZIONE

L'Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) da alcuni anni sostiene l'importanza di valutare la situazione attuale sulla sicurezza e la salute legate allo sviluppo delle nanotecnologie in ambiente di lavoro.

Le nanotecnologie trovano applicazione in vari settori, tra cui sanità, biotecnologie, produzione di energia pulita, informazione e comunicazioni, chimica, industrie elettroniche e militari, agricoltura ed edilizia. Si prevede che entro il 2020 il 20% circa di tutti i prodotti fabbricati nel mondo impiegheranno una certa quota di nanotecnologie. Si tratta tuttavia di tecnologie emergenti ed i rischi associati alla produzione e all'utilizzo di nanomateriali sono per lo più sconosciuti. C'è un sostanziale squilibrio di conoscenze tra applicazione delle nanotecnologie e il loro impatto sulla salute. Le informazioni attualmente disponibili sugli effetti sulla salute e la valutazione del rischio da nanomateriali nei luoghi di lavoro sono limitate; non sono ancora note metodologie sistematiche per valutarne l'esposizione e, dato l'uso intensivo e altamente diversificato che l'industria fa dei nanomateriali, è difficile effettuare una stima del numero di lavoratori esposti.

Questa lacuna di conoscenze impone alla comunità scientifica del settore della Salute e Sicurezza del Lavoro la necessità di unire gli sforzi per fornire una opinione condivisa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori che utilizzano, manipolano o producono nanomateriali. La collaborazione in ambito nazionale ed internazionale risulta cruciale per valutare e gestire correttamente questo rischio emergente. In quest'ottica l'ISPESL ha avviato una serie di iniziative di ricerca nel settore, tra cui la creazione del un Network Nazionale ad-hoc sulla materia (denominato "NanOSH Italia") con le finalità di promuovere la cooperazione e avviare attività integrate di ricerca nell'ambito dei rischi da esposizione lavorativa a nanomateriali, sviluppando un approccio multidisciplinare per la valutazione del rischio.

Primo risultato di questa collaborazione è il presente Libro Bianco con cui si intende contribuire ad avviare una seria ed autorevole discussione per la definizione delle policy necessarie ad assicurare uno sviluppo delle nanotecnologie in Italia, lungo la linea dell'equilibrio tra esigenze di competitività e sostenibilità, e riduzione del rischio per i lavoratori.

Il Coordinatore Scientifico

Dott. Sergio Iavicoli

 

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Last Updated (Friday, 30 September 2011 13:44)

 

Titanio possibile causa di Parkinson?

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Recensione a cura di A.M.I.C.A.

 

Lo studio del dott. Kurt E. Muller di Isny in Germania, pubblicato su Neuroendocrinology Letters nel 2006 (K.E.Muller, Hypersensitivity to titanium: clinical and laboratory evidence, Neuroendocrinology Letters, vol. 27, Suppl. 1 2006), ha dimostrato che, contrariamente a quanto si ritiene nella comunità medica, il titanio non è biologicamente inerte e potrebbe essere concausa di patologia immunologiche e neurologiche come la Sindrome da Stanchezza Cronica (CFS), la Sensibilità Chimica Multipla (MCS), sintomi dermatologici e altri.

Il dott. Muller ha studiato la capacità del titanio di provocare sensibilizzazione e disfunzioni immunologiche, usando il test di trasformazione dei linfociti LTT-Melisa, standardizzato e accreditato in Germania sin dal 2001.

Sono stati selezionati 56 pazienti che hanno sviluppato patologie e sintomi importanti dopo aver avuto protesi dentarie e/o impianti protesici in titanio e sono stati sottoposti a test LTT per vari metalli e a patch test per il titanio.
Ne è emerso che il 37,5% era positivo all'LTT del titanio, il 28,6% ha dato un risultato ambiguo e il 33,9% è risultato negativo. Alcuni, inoltre, erano allergici anche ad altri metalli, soprattutto al nichel (21,4%).

E' interessante osservare che, a fronte di questi risultati, i patch test al titanio erano tutti negativi, a dimostrazione che la manifestazione dermatologica è solo una delle possibili reazioni. Il test LTT mostra, invece, sia la sensibilizzazione che dà reazioni dermatologiche che non-dermatologiche, senza esporre il paziente a sensibilizzazione per esposizione diretta.

Il test LTT-MENSA è stato ripetuto dopo la rimozione delle protesi in titanio, rivelando una negativizzazione a cui ha fatto fronte un netto miglioramento dei sintomi.

Un quarantacinquenne con CFS, impedimento cognitivo, tremore simile a Parkinson e grave depressione, che gli impedivano di lavorare, era fortemente allergico al titanio e sei mesi dopo la rimozione dei perni odontoiatrici, è migliorato al punto di poter tornare al lavoro.

Fonte: www.melisa.org

 

Body wide web. Il funzionamento del nostro corpo paragonabile a quello di Internet

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Le ricerche sulle connessioni che fanno funzionare l’organismo umano.
Come un grande web Internet? E’ il nostro corpo

LE COMUNICAZIONI TRA LE CELLULE

Il body wide web
C’è una grande rete che collega il nostro corpo: gli scienziati stanno cominciando a conoscerla davvero e potrebbe servirci moltissimo

Cervello chiama ghiandole surrenali, rispondete. Qui ghiandole surrenali, dì pure cervello. Attenzione stress in vista, attivare risorse energetiche, passo e chiudo. Ricevuto cervello, inviamo immediatamente il segnale. Ghiandole surrenali chiamano fegato. Qui fegato. Stress in vista, serve più energia, attivare le risorse zuccherine. Ricevuto ghiandole surrenali, sarà fatto immediatamente, passo chiudo.
Può sembrare un dialogo surreale, eppure accade davvero nel nostro corpo! Le cellule dei diversi organi comunicano continuamente.
Ci sono contatti diretti, a distanza e senza fili, tanto che si potrebbe pensare che, nel nostro corpo, esista una sorta di “body wide web”, una grande rete dell’organismo. Cellule come computers, ormoni e neurotrasmettitori come megabyte di dati inviati in continuazione e con estrema precisione. E in questo modo internet biologico tutte le cellule, da quelle nervose a quelle muscolari, da quelle epatiche ai globuli bianchi, sono on line. 24 ore su 24.
Questa rete di comunicazioni è, in fatti, vitale per il nostro organismo. Sono i continui scambi di segnali a guidare lo sviluppo dell’embrione, e poi a fare un ammasso di miliardi di cellule un organismo completo.
<<L’abilità di una cellula a ricevere e rispondere in modo corretto ai segnali che le arrivano è la base dello sviluppo del nostro organismo, della riparazione dei tessuti, del nostro sistema immunitario e in generale dell’attività dei nostri organi>>, racconta a Quark Antonio De Flora, professore di Biochimica all’Università di Genova e presidente del Cba, il centro di Biotecnologie Avanzate della Regione Liguria.
Insomma, questa rete non fa solo funzionare il nostro corpo 24 ore su 24 ma può essere anche alla base di alcune malattie, e soprattutto apre nuove possibilità di cura. Per esempio nel caso del cancro <<se si conosce come funzionano i meccanismi di queste comunicazioni, si possono individuare nuovi bersagli per nuove terapie. Se si scopre che le cellule di un tipo di tumore riescono a ricevere determinati segnali, necessari per la loro sopravvivenza e proliferazione, allora tagliando questo filo di comunicazione si può pensare di indurre la cellula tumorale alla morte. Una strategia promettente e che sta già passando dalla teoria alla pratica, come è dimostrato dall’uso in oncologia di farmaci basati su anticorpi diretti contro i recettori presenti in particolari tipi di tumori>>, racconta De Flora.
Ma le potenzialità vanno oltre, e sfociano anche nello studio delle cellule staminali. Sono infatti i segnali che arrivano alle staminali dalle cellule vicine a dire loro quando differenziarsi per formare cellule del muscolo o delle ossa, e quando invece rimanere staminali, cioè totipotenti. Uno studio svolto all’Università della Pennsylvania, pubblicato lo scorso settembre sulla rivista Cell, ha mostrato che cellule staminali adulte presenti nel midollo osseo possono trasformarsi in cellule delle ossa, dei muscoli o in neuroni a secondo degli stimoli che arrivano loro dall’ambiente in cui si trovano.

Obiettivo: la cellula virtuale
L’esistenza della rete di comunicazione fra le cellule venne a galla già nel 1965, appena 2 anni la descrizione della doppia cellula elica del Dna: fu il lavoro pionieristico di Edwin Krebs ed Edmond Fischer, che si divisero il Nobel per la medicina nel 1992, a mostrare al mondo che le cellule avevano ingegnosi sistemi per ricevere un segnale ed eseguire un compito. Da allora c’è stato un susseguirsi di risultati ma, mentre oggi abbiamo la mappa completa del Dna umano, quella dei segnali e delle comunicazioni tra cellule è ancora lontana. Lo ha spiegato, con un esempio efficace, Henry Bourne dell’Università di California a San Francisco: <<Stiamo esplorando un vasto, vasto, vasto continente e, al momento, conosciamo solo pochi porti, una manciata di fiumi e un paio di catene montuose>>. Quindi, è importante unire le forze. Così qualche anno fa, con altri nomi di primo piano della biochimica, tra cui il Nobel Alfred Gilman, Bourn ha fondato l’Afcs (Alliance for Cellular Signalling, Alleanza per lo studio delle segnalazioni fra cellule), grande progetto internazionale con l’obiettivo di costruire una sorta di cellule virtuale.

Un elemento importante, secondo gli autori della ricerca, per rendere possibile l’uso terapeutico delle staminali, per esempio contro gravi malattie come l’infarto.
Una conferma in più circa l’importanza di questi scambi di segnali è arrivata dai risultati di uno studio comparso di recente sulla rivista Nature. Fred Gage, del Salk Institute for Biological Studies, a La Jolla in California, e colleghi hanno mostrato che la sopravvivenza dei nuovi neuroni nel cervello dipende dalla quantità di imput che ricevono. In altre parole, i neuroni che non comunicano non sopravvivono.
E più in generale, <<errori nei processi di comunicazione sono alla base di malattie gravissime fra cui anche il diabete>>, continua De Flora. << Proprio per questo ci si focalizza sempre più sullo studio dei segnali cellulari per identificare nuovi bersagli per nuove terapie>>.
Siti, e-mail e voip
Ma non è così semplice. Sbirciando nei laboratori dove si fa ricerca avanzata sulle segnalazioni fra cellule, salta all’occhio l’incredibile complessità e vastità di questo <<body wide web>>. Sappiamo che i segnali inviati sono tanti e diversi a seconda delle cellule da raggiungere e del messaggio da trasferire: vengono <<spediti>> ormoni, fattori di crescita, neurotrasmettitori, proteine, ma anche ioni, ossia molecole cariche elettricamente, solo per citare i casi più comuni. Sappiamo anche che ci sono molti modi diversi in cui le cellule comunicano fra loro, proprio come un internet che sfrutta tutte le vie possibili.
Ci sono comunicazioni a distanza, senza fili, in cui i messaggi inviati sono ormoni e proteine che vengono immesse nel circolo sanguigno come se fossero pubblicati on-line. Questi messaggi vengono captati da cellule anche lontane, ma dotate della giusta password per decodificare i singoli segnali. E siccome si tratta di cellule, le password altro non sono se non una serie di molecole, chiamate recettori, poste per lo più sulla loro membrana. I recettori funzionano come martigli che individuano e captano gli ormoni e le proteine-messaggio in circolo. Poi ci sono le comunicazioni più circoscritte nello spazio, che si potrebbero paragonare a e-mail personali.
Sono, per esempio, le sinapsi, come quelle che legano i neuroni nel nostro cervello. Ma anche le cellule del sistema immunitario si parlano attraverso sinapsi, dalla forma molto da quelle del sistema nervoso che permettono alle cellule immunitarie << di creare contatti fugaci mentre viaggiano nell’organismo alla ricerca dei segnali di una malattia, scambiandosi informazioni sui pericoli presenti>>, spiega Daniel Davis, dell’Imperial College di Londra.
Comunicazione a distanza (endocrine)
Sono comunicazioni fra cellule che non si trovano a contatto diretto ma possono essere anche distanti e in organi diversi.
E’ una comunicazione senza fili, in cui una cellula lancia un segnale (una molecola o un ormone), che viene catturato altre cellule, che a loro volta reagiscono al segnale ricevuto. Un esempio è rappresentato della risposta delle cellule del fegato all’ormone epinefrina rilasciata nel circolo sanguigno dalla ghiandola surrenale.
Comunicazione ravvicinate (sinapsi)
Un tipico esempio sono le sinapsi fra neuroni. In questo caso quando il primo neurone (presinaptico) ha una comunicazione, cioè uno stimolo nervoso, da inviare al secondo neurone ( post sinaptico) dei gruppi di molecole, chiamati neurotrasmettitori, si dirigono verso la membrana del primo neurone per seere rilasciato all’esterno ed essere captate dai recettori del secondo neurone.
Comunicazione a stretto contatto (gap-junction)
Molte cellule possono stabilire contatti strettissimi con cellule vicine mediante delle proteine, dette connessione, che formano dei veri e propri canali di collegamento. Questi collegamenti si formano per esempio fra cellule del rivestimento dell’intestino.
Attraverso questi canali possono passare da una cellula all’altra ioni e piccole molecole, ma anche molecole importanti per il sostentamento delle cellule.
Infine, esistono le comunicazioni dirette, a tu per tu, note come gap-junctions, che ricordano una sorte di “voip” (le telefonate via internet) biologico.
<<Fra cellule di uno stesso organo o tessuto si instaurano veri e propri canali, che mettono in comunicazione diretta l’interno di una cellula con quella vicina. Ed è proprio attraverso questi canali>>, spiega ancora il professor Antonio De flora, <<che passano segnali, sotto forme di piccole molecole o ioni, per avviare una nuova attività o per scambiarsi sostanze utili alla sopravvivenza. Così per esempio, una cellula in difficoltà può ricevere dalle vicine l’aiuto e il sostegno di cui ha bisogno>>. Ma forse i nodi più complicati di questo internet dell’organismo non sono tanto nell’invio e nella ricezione del segnale, ma in quello che succede dopo, dentro alle cellule, in risposta agli input ricevuti.
L’arrivo di un segnale, infatti, innesca una serie di processi a cascata che coinvolgono tutta la cellula, dalla membrana al citoplasma, fino al Dna.
L’insieme di questi eventi è noto fra gli addetti ai lavori, col nome di “traduzione di segnali”. Proteine, ioni, molecole complesse e più semplici, che si avvicinano, si legano o si separano, ne chiamano in causa altre fino ad arrivare al nucleo, e dire ai geni che cosa fare: produrre una proteina o un’altra, accendersi o spegnersi.
<<L’interno di una cellula è come una zuppa densa di proteine che si parlano l’una con l’altra in tanti modi che ancora non conosciamo>>, commenta Robin Irvine, dell’Università di Cambrige, in Gran Bretagna. Di molte molecole ancora non si conosce il ruolo. Così non si resta troppo sorpresi a sapere che, per esempio, il colesterolo, spesso ricordato perché può favorire l’infarto, è presente anche nelle membrane delle cellule e lì potrebbero avere una funzione di regolatore di questo network di segnali. Il risultato è stato descritto sulla rivista Science da ricercatori dell’Università del Texas,guidati da Richard Anderson, <<I segnali delle cellule devono essere ben controllati>>, spiega Anderson . << Se il meccanismo non funziona, come può accadere se nella membrana cellulare non c’è abbastanza colesterolo, allora arrivano alla cellula informazioni sbagliate, che possono scatenare malattie>>.
Uno stimolo per morire
Altri protagonisti della trasmissione dei messaggi sono gli ioni calcio, una sorta di segnalatori universali per moltissimi messaggi diversi. <<L’aumento della loro concentrazione nel citoplasma può portare una cellula a proliferare, creando due cellule figlie, oppure può indurla all’apoptosi, cioè alla morte.
Ma può anche regolare altre attività.
Per esempio, nelle cellule del pancreas, questi segnali danno il via alla produzione di insulina, in quelle muscolari inducono la contrazione, nel sistema nervoso modificano la plasticità delle sinapsi>>, dice De Flora. << Dunque, nelle comunicazioni intercellulari ci sono le indicazioni per una cellula per attivare quel gene o quell’altro>>, prosegue lo studio, << per avviare o sospendere la produzione di una proteina, ma anche per avere lo stimolo a riprodursi o a morire 
Pubblicato su Quark - la scienza che ci serve n. 68 02/10 /06



 



 

Last Updated (Tuesday, 06 March 2012 14:32)

 
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